martedì 15 novembre 2022

15/11/2022 prosa 12

 


Tengo suonno. Me sî vvenute 'n suonno: in napoletano non esiste differenza tra il sogno ed il sonno. Il motivo non si spiega con la semplice assimilazione delle nasali (m, n) dal latino somnus, quanto piuttosto nell’assenza di confine tra la realtà e la finzione. A Napoli chi ‘tiene sonno’ dorme allerta, e vede 'e riscenzielle: ma 'e riscenzielle li vede pure chi ha paura, chi sta sveglio e a occhi aperti, di fronte a una realtà che non riesce ad accettare. 

Stanotte me sî vvenute 'n suonno, e m’ê itte 'e 'n ce pensa’, 'e nun me fa’ 'o sanghe amaro, pecchè sulo 'nto 'e suonne 'a paura nun fernesce maje, e si nun fernesce, allora vorrà dicere ca staje sunnanne ancora. 





sabato 2 luglio 2022

2/07/2022 prosa 11

Caterina, Giulia ha i tuoi occhi, e quando la sgrido capita che li rivolga in terra, come a fissarsi i piedi, proprio come facevi tu. È molto simile a te in tante cose, a dire il vero. Stamattina, in cammino verso scuola, mi ha chiesto il perché del suo nome, mi ha detto che in classe ha un’amica di origine araba – si chiama Jasmine –, e che la bambina il suo nome l’ha preso da un fiore, perché il padre, avvocato con la passione per la botanica, ha sempre adorato il profumo del gelsomino. Voleva sapere se anche Giulia venisse da un fiore, ma quando le ho spiegato la storia di Roma, da Ascanio a Giulio Cesare, si è leggermente incupita, e un velo di tristezza le ha coperto gli occhi in un attimo: in quel momento ti ha assomigliato più di ogni altra volta.
    Anche gli occhi di Giulia cambiano colore se piange, e passano dal verde a una sorta di azzurro più chiaro. La prima volta che notai questa cosa di te mi rispondesti che eri molto più bella quando piangevi, e che era un buon modo per ‘fare fessi' gli uomini. Anche Giulia è bellissima, uguale a come lo eri tu, a come credo tu sia ancora, e chissà un giorno quanti uomini farà fessi anche lei, suo padre compreso. È stato proprio per quel suo tenero piagnucolio, infatti, che sono tornato sulla storia del nome, e ho deciso di raccontarne un'altra versione. Le ho detto allora che ha il nome della persona che più abbia amato in vita mia, e che le somigliava, stranamente. Lei allora mi ha chiesto se amassi così tanto anche lei, e le ho risposto di sì.
    Le ho anzi risposto che l’amo di più, perché essendo mia figlia il legame che abbiamo non può mai spezzarsi, anche quando deciderà di andare per la sua strada, anche quando mi lascerà ed io geloso, un po’ vecchio, le dirò che non sono d’accordo. A lei forse avrò il coraggio di dirlo.










 

lunedì 27 giugno 2022

27/06/2022 prosa 8

 


Il più antico poema del mondo comincia con una domanda: “perché si muore?”. Il protagonista intraprende un lungo viaggio per trovarne la risposta, e quanto ottiene è di esperire lui stesso la morte; il suo compagno di viaggio è colpito da un male incurabile, ed egli non riesce più a darsi pace: perché si muore? La storia ci insegna che questo è il più grande castigo dell’uomo, il barlume di veggenza che lo fa quasi pari agli déi: conoscere il proprio destino, ma non potere operarvi.
Ogni castigo può però tramutarsi in un dono, mia Nina, se accettiamo di andare a un limite prestabilito. Solo così l’uomo sa farsi migliore di un dio, giacché per noi ogni dolore può essere l’ultimo, ogni amore per sempre. L’effimero è una forma di immortalità, se la finitezza non consente la ripetizione, e ciascun uomo è in questo senso eterno.



sabato 28 maggio 2022

28/05/2022 prosa 7

Nel mito di Apollo e Giacinto, il primo uccide l’amato durante un gioco del lancio col disco, per un tiro inavvertitamente troppo forte. Il dio delle arti e della violenza, della malattia e della cura, rappresenta in questa storia tutto ciò che si ammira in un uomo: l’intelligenza, la forza, la bellezza. Giacinto — anch’egli bello — è al contrario del suo amante fragile e delicato, effemminato e volubile. Apollo, incarnazione del sole, ferisce allora Giacinto perché incapace a controllare la sua forza. Il dio della vita e della morte, come tutti gli dèi, non conosce misura, e Giacinto, in quanto umano, diventa vittima della sua avventatezza, di una scarsa capacità di giudizio: il ragazzo si è creduto alla pari di un dio.
Io e te non siamo dèi, Caterina, né più siamo fiori. Nessuno ci invidia la bellezza o l’età, e il nostro dolore è meschino e consapevole: esso ci uccide pur lasciandoci in vita; neanche l’amore può più trasformarlo in giacinto.








giovedì 26 maggio 2022

26/05/2022 prosa 6



Il cinese non possiede l’alfabeto, e ai suoi parlanti non si insegna a scrivere, si insegna a disegnare. Il pittogramma è infatti una ‘parola disegnata’, un’unità minima di significato di senso compiuto. Il cinese in quest’ottica non separa concetto e parola, immagine e pensiero; come il greco – più del greco – in questa lingua le res corrispondono ai verba, le idee corrispondono a oggetti concreti e universalmente condivisi. Una peculiarità simile ha permesso agli antichi poeti di Qin di scrivere intere poesie con un solo carattere, un’unica immagine ripetuta per più versi, che nell’insieme del componimento assume plurimi significati. 
È come quando tu racconti, Nina, come quando inventi càrole e pavoni sempre uguali, ma che ai tuoi occhi appaiono ogni volta diversi. È che forse nei nostri discorsi – come in quelli dei bambini – non c’è più distinzione tra il segno e il suo possibile significato. 




giovedì 19 maggio 2022

19/05/2022 prosa 5

 


In inglese la parola chance, possibilità, ha la stessa radice del verbo to change: cambiare. Come se ogni opportunità derivasse da un cambiamento, e la fortuna fosse solo appannaggio dei più arditi. La stessa particolarità è presente in francese, dove chance è derivato del verbo changer, e ancora in tedesco, sotto il concetto di ändern. 
I popoli del Nord Europa distinguono tra potere e cambiamento, al contrario di quelli mediterranei, che conoscono una fortuna soltanto in potenza, eredi della separazione aristotelica tra agire e potere. La lingua in cui pensi, mia Nina, modifica e influenza le tue azioni: per questo la filosofia divide logica e morale, e la filologia è la più perfetta delle scienze. 





giovedì 28 aprile 2022

28/04/2022 prosa 4



La poesia è la più antica forma di scrittura. In versi erano scritte leggi, formule magiche e inni agli dèi. Al tempo in cui i miti custodivano i misteri del mondo, la poesia fu inventata per tramandarne la memoria. Alcuni popoli ordinarono il loro sapere in forma di canto – quando capirono che il ritmo aiuta la memoria – e la scrittura si adeguò a questa esigenza, dando vita alle vocali. Altri affidarono ai versi verità inaccessibili, secondo un alfabeto ancora oggi indecifrato. Seimila anni dopo la poesia è la forma di scrittura più codificata, ma anche la più sperimentale. Forse il motivo è che l’uomo conserva da sempre un'antica paura: dimenticare.

Antonio Perrone




 

lunedì 25 aprile 2022

24/04/2022 prosa 3

Nel napoletano non esiste il verbo dovere, e la necessità si esprime con l’aiuto del latino: have’ ’a. Il dialetto più antico d’Italia, figlio di Roma e di Grecia, non conosce l’urgenza del fare. Il parlante medio, ignaro di questa lacuna, confonde così obbligo e possibilità: si havessa, ch’avessa, nunn havessa, possiedono allo stesso tempo il significato di dovere e potere. 
Il napoletano ha una grammatica rigida, ma è filologicamente scorretto. I suoi principi sono quelli della poesia: il ritmo, l’immagine, l’ambiguità del significato. È per questo che alla lengua nostra manca anche il verbo ‘amo’, poiché difettando nel condizionale, confonde il desiderio con l’eventuale.



 

domenica 24 aprile 2022

23/04/2022 prosa 2

Le lingue semitiche non hanno vocali. Gli antichi guerrieri di Uruk possiedono nomi lunghi e complessi, al pari di formule magiche. Nell’Oriente dell’età del bronzo la parola ha valore di legge, e pronunciare il nome di un nemico equivale a reclamarne il possesso. Così centinaia di formule orali, tramandate di padre in figlio, rappresentano il tesoro dei clan più potenti, per togliere o restituire la libertà. 
A millenni di distanza le parole hanno lo stesso potere, perché la lingua umana dona o requisisce. In questo modo il barbaro fa schiavo il suo vicino, mentre i due sposi fanno prova di fede, pronunciando a voce alta i propri nomi.

                                                                                                                                                Antonio Perrone



19/04/2022 prosa 1



Il greco antico non conosce il blu. Nei Poemi omerici il mare è descritto come viola o nero. I greci vedevano il blu, ma non ne conoscevano il nome: allo stesso modo che l’indaco e il ciano appaiono azzurri ai bambini, o come gli Inuit, che usano dieci parole per dire la neve. 
È tutto finto, Nina, ogni separazione è finta a chi guarda per la prima volta, a chi confonde i punti nella linea, a chi non vede il cerchio e la circonferenza. La meraviglia è ignara delle sfumature, così Ulisse non distingue il fondo dalla superficie. 

                                                                                                                                                  Antonio Perrone