Nel mito di Apollo e Giacinto, il primo uccide l’amato durante un gioco del lancio col disco, per un tiro inavvertitamente troppo forte. Il dio delle arti e della violenza, della malattia e della cura, rappresenta in questa storia tutto ciò che si ammira in un uomo: l’intelligenza, la forza, la bellezza. Giacinto — anch’egli bello — è al contrario del suo amante fragile e delicato, effemminato e volubile. Apollo, incarnazione del sole, ferisce allora Giacinto perché incapace a controllare la sua forza. Il dio della vita e della morte, come tutti gli dèi, non conosce misura, e Giacinto, in quanto umano, diventa vittima della sua avventatezza, di una scarsa capacità di giudizio: il ragazzo si è creduto alla pari di un dio.
Io e te non siamo dèi, Caterina, né più siamo fiori. Nessuno ci invidia la bellezza o l’età, e il nostro dolore è meschino e consapevole: esso ci uccide pur lasciandoci in vita; neanche l’amore può più trasformarlo in giacinto.