Il più antico poema del mondo comincia con una
domanda: “perché si muore?”. Il protagonista
intraprende un lungo viaggio per trovarne la
risposta, e quanto ottiene è di esperire lui stesso
la morte; il suo compagno di viaggio è colpito da
un male incurabile, ed egli non riesce più a darsi
pace: perché si muore? La storia ci insegna che
questo è il più grande castigo dell’uomo, il
barlume di veggenza che lo fa quasi pari agli déi:
conoscere il proprio destino, ma non potere
operarvi.
Ogni castigo può però tramutarsi in un dono, mia
Nina, se accettiamo di andare a un limite
prestabilito. Solo così l’uomo sa farsi migliore di
un dio, giacché per noi ogni dolore può essere
l’ultimo, ogni amore per sempre. L’effimero è una
forma di immortalità, se la finitezza non consente
la ripetizione, e ciascun uomo è in questo senso
eterno.